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Cristina Messora

Cristina Messora è nata a Modena nel 1965, vive e svolge la propria attività ad Ancona. Laureata con il massimo dei voti, presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1992, nel suo percorso creativo sperimenta diversi linguaggi aderenti agli interessi del periodo, dal rapporto fra arte e scienza rivelato dalla geometria dei frattali, alle forme della natura nel paesaggio. Per rappresentare la vita interiore, elabora la tecnica mista personale degli ultimi anni, dove l’embossing su carta crea lo spazio, e prelude alla stesura di velature di colore sovrapposte fino all’emersione del disegno, su cui l’artista interviene ancora con elementi materici e grafite.

La poetica  di Cristina Messora esprime uno sguardo interiore con forme astratte di matrice lirica. Dall’osservazione della propria mente, l’artista si pone domande fino a far affiorare uno stato d’animo profondo. Tradotta in concetto, la sensazione si fa segno e si dipana, si racconta, incisa nel bianco della carta, svelata dal colore, definita dal tratto. Cristina Messora ha costruito così un codice semico in cui ogni forma esprime un fatto emozionale o temporale. L’ellissi spesso piena, quasi onnipresente, è l’origine, la matrix generatrice di emozioni, è mistero e matassa da sbrogliare. Ma è anche la stanza segreta, lo spazio intimo dove proteggere gli aspetti più delicati della vita profonda. Sulle campiture di colore stratificate, dove la cromia assume valore di stato emotivo dominante, la matrix generatrice di ogni pensiero. E i cambiamenti interiori dinamici si esprimono in verticali, il tratteggio si fa racconto, la linea spezzata da tratti verticali tempo. 

CRITICHE

Cristina Messora – Emozioni residue

Falconara Marittima (AN), Associazione culturale l’Orecchio di Van Gogh.

 

Artista di origine emiliana, ma che vive e lavora da anni in provincia di Ancona, Cristina Messora presenta una raccolta di opere pittoriche dal titolo “Emozioni Residue”. 

Realizzate su supporti di carta e con colori oleosi dai toni sempre caldi e profondi anche quando è il nero a far da padrone, l'artista crea vere e proprie finestre dalle quali possiamo affacciarci su atmosfere dense e leggere insieme. 

Marrone, rosso, ocra, blu, arancio, nero e bianco, si alternano rendendo sensazioni di accoglienza e inclusività, di reazione e incisività, di slancio e di riflessione. Scorci dove tutto ciò che è superfluo e privo di valore è stato eliminato per far posto solo a ciò che conta e che ha senso. 

L'Essenza distillata attraverso un sentire in perfetto equilibrio tra sentimento e ragione, tra emozione e realtà. La necessaria presenza di una regola che non vincola ma indica la strada per la libertà.  

   

Donatella Giuliani2007

 

 

 

 

La riflessione sul tempo è una sorta di finestra aperta su di un mondo apparentemente lontano ma nascosto al  contrario tra le pieghe più recondite del nostro io. Ne emerge un quotidiano stemperato nel sogno che ci appartiene e ci coinvolge.

 

Le sue attuali forme espressive risentono di un lungo percorso creativo compiuto attraverso la sperimentazione di diversi linguaggi. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali .

Predilige una tecnica povera, utilizzando supporti di carta su cui interviene con materiali diversi, lasciando lievitare figure evanescenti, glabre, che recano le linee sommarie dell’indeterminatezza geometrica, evocate da una profonda riflessione interiore.

Tale linguaggio le consente di esternare l’urgenza espressiva della propria sensibilità, seguendo sensazioni ed idee immediate, dove la sostanza oleosa è colore, luce e forse sogno. 

Queste emozioni residue dunque non sono altro che l’essenza distillata della propria emotività, la ricerca personale e continua di un equilibrio ancora lontano tra realtà ed immaginazione. E la pittura solo un filtro dell’anima da cui trapela un’atmosfera di estenuazione sognante. I pensieri si addensano lentamente sulla carta in un affresco di segni e colori, ora caldi ed intensi ora cupi ed intimistici, come nodi irrisolti di un’oscillazione continua tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.  Cristina Messora ci consegna un linguaggio pittorico interlocutorio fatto di essenzialità, libero da concessioni superflue e da schemi di ragionevolezza imposta, estraneo a tutte le possibili logiche comuni per glorificarlo nella sua solitudine.

 

Gian Paolo Grattarola

 

Presentazione (catalogo 2006)

 

Nella vasta landa in cui il pensiero vaga alla ricerca ai un barlume di verità, la mente procede velocemente, portandosi appresso emozioni residue che s'attorcigliano a matassa, in un intrico meravigliosamente sospeso. Un groviglio energetico carico di passato vissuto e di presagi embrionali, che tutto in sé concentra e che tutto da sé genera. Ma il caos primigenio necessita di una dimensione umana e questa prende forma in rassicuranti misure, tacche regolari che scandiscono il ritmo di un cuore a pendolo, il filo della ragionevolezza oscilla ad ogni sospiro. L'atto creativo non ha bisogno di intermediari in questa continua ricerca di equilibrio. Non l'equilibrio stante della raggiunta saggezza ma l'equilibrio mobile tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, sotto lo sguardo di una Entità Illuminata che ci indica un sentiero possibile. Non servono intermediari allegorici e infatti i pensieri tutti si coagulano direttamente sulla carta: il groviglio, le linee graduate, la Luce dall'alto. Non servono intermediari tecnici e infatti non è il pennello a tracciare segni ma la spugna intrisa di colori terrosi e solari che sporca le mani e anche la carta. Carta, non tela, né legno, né pixel. Carta scelta con cura, saggiandone la texture e la consistenza, il peso ed anche il suono che proviene dalle viscere di un lento strappo. Allora anche il supporto si fonde con l'immagine, in una sorta di affresco leggero, dove il sentire diventa visibile. E in questo intenso, poetico e fluttuante esistere, ogni tanto affiora compiuto un "èidos" ovoidale come potente madre creatrice.

 

Daniela Pennacchioli 2006

 

Geometrica irrazionalità

tempo e natura nell’opera di Cristina Messora

 

Guardando le opere di Cristina Messora, ciò che più mi colpisce è di certo la loro geometrica irrazionalità.

Dai titoli si possono cogliere gli argomenti di un profondo pensiero filosofico che parla del tempo, del pensiero, di tutto ciò a cui lo scibile umano tenta, invano, di dare una chiarificazione, ma anche di tutto ciò con cui la concretezza deve fare i conti ogni giorno. Da qui parte l’idea che mi è sovvenuta di geometria, che si risolve nelle forme rette e circolari, dalle semirette tirate a mano libera e dalle loro rispettive incidenze. In realtà vedo in questi quadri un discorso, un dialogo. Non ho intenzione di dare un’interpretazione univoca, perché trovo errato dover dare un particolare significato alla materia arte: trovo più doveroso cercare di indirizzare il pubblico verso una soluzione di questi segni, che possono essere interpretati secondo un significato emotivo ed artistico diverso per ogni fruitore, più interessante perché personale. Non un’interpretazione, quindi, ma una serie di indizi che scoprano la struttura di queste opere. Un compito sicuramente non facile, ma che trova una base d’appoggio appunto nelle forme geometriche appena accennate. Giacché, è ovvio, un quadro non si esprime e non si crea nella casualità, ma nella causalità (almeno nella maggior parte dei casi), va da sé che ogni colore, ogni punto, ogni cerchio, ogni forma tracciata su questi fogli non abbia una natura d’impeto, ma un ragionamento che trova le sue radici nella filosofia e che, spesso, svela la sua filosofia nel tempo, nel pensiero e nella natura delle cose.

Siamo circondati da oggetti (nella loro accezione filosofica) animati o inanimati, che hanno con noi una relazione, sia essa incisiva o superficiale. Alcuni di questi fanno parte del noumeno platonico, dell’intellegibile, e sono dunque non-conoscenza. Proprio quegli oggetti ci permettono di istaurare un ragionamento, e l’arte è sicuramente uno di questi. L’arte non è tangibile, è un’idea, e in quanto idea può essere pensata. Il modo di pensare l’arte, in questo caso, è in stretto collegamento con la vita, con il vissuto: è questa la forma fondamentale che prendono gli oggetti di queste opere. E’ rappresentabilità, che si concretizza nella linea cronologica del tempo di una filosofia antica, che induce alla contemplazione personale di ciò che è il nostro passato, presente e futuro e che diventa necessariamente generale, poiché il Tempo e la Vita non iniziano, né finiscono, con noi. 

Eppure la sostanza che subito giunge all’occhio è quella di segni ancestrali e mistici, grazie soprattutto allo sfondo, ai suoi colori e ai giochi di luce che lo compongono, come un altro segno che incuriosisce è la divisione di due realtà e l’interscambio tra esse che è possibile effettuare davanti a queste opere: si trovano elementi che alternano fisica e metafisica, che a volte le scindono chiaramente, ma che mai le fondono, per la paura che abbiamo tutti per gli elementi non concreti e, d’altra parte, per la sicurezza che troviamo nella natura, nelle sue forme leggibili e chiarificabili; in altre parole: certe. 

Proprio la sicurezza che regna il mondo e che è insita nelle opere, dà a questi lavori un profondo, quanto impensabile, carattere romantico; è comunque vero che non è un rifugiarsi nella perfezione della natura che circonda l’uomo, quanto più uno spunto per prendere esempio dalla sua ingovernabilità, dal suo carattere apparentemente perpetuo, ma, nella sua intimità, breve e conclusivo.

Da qui un altro ragionamento: gli elementi di queste opere sono tutti non finiti, quindi imperfetti, e da questa imperfezione nascono altre emozioni e sensazioni di contrasto, che fanno pensare all’uomo in quanto essere finito (e quindi perfetto), ma che destano sicuramente dei dubbi. Siamo figure impercettibili nella totalità del mondo, siamo mutevoli nelle generazioni e destinati a scomparire, ma è pur vero, come ricorda Carlo Villa, che siamo esseri antichi: il pensiero che coinvolge questi quadri vede al suo epicentro l’uomo e la sua figura, dall’antico passato al remoto futuro. 

Sul tempo, che “per un verso è stato e non è più, per l’altro verso esso sarà e non è ancora” (Aristotele, Fisica, libro IV) è molto più difficile dare delle basi conoscitive: il tempo è ciò che ci fa sentire e ci rende vivi, fa di noi degli esseri pensanti e ragionanti, fa suscitare emozioni e ricordi, ci permette di sperare.

Dal tempo si parte e col tempo si conclude, e l’unico modo, che trovo sia la chiave di lettura definitiva, è lasciarsi trasportare dal tempo nel tempo, per poter ripercorrere queste forme, spesso trascendenti, ma sempre reali, che Cristina Messora dipinge sulla carta, un materiale che fa dell’opera un libro da leggere e interpretare: a voi questo difficile compito. 

 

 Andrea Giacometti 2009

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Cristina Messora è nata a Modena nel 1965 e da  vent' anni vive e lavora ad Ancona.

Nel 1992 si è laureata all' Accademia di Belle Arti di Bologna con il massimo dei voti.  Dal 2006 ad oggi ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, le più significative sono : Emozioni Residue, Grovigli, Grovigli e segni di un desiderio.

Nel suo percorso creativo ha sperimentato diversi linguaggi che ha portato a maturazione nella Casa che guarda il cielo.

E' l'artista della vita interiore, la sua opera si sviluppa autonomamente in un percorso di causalità mai casuale. L'artista conduce la sua opera e si lascia condurre in un rapporto attivo e dialettico.

Tutto nasce da un'idea, da una parola, che in un processo di astrazione, lascia posto al segno, al colore, in un vortice di energia scandita e fissata da tacche di luce.

E' un percorso introspettivo che approda in uno spazio in cui le idee, il vissuto, si sublimano e creano lo slancio per superarsi. In questo spazio c'è posto per la gioa e il dolore, per la paura e il coraggio, per l'angoscia e il benessere: è il luogo in cui tutto si concentra, si placa, trascende e concorre all'arricchimento, alla crescita .

La casa che guarda il cielo: un esempio sui generis di memoria eidetica o forse è più giusto pensare ad una densità interiore che si stempera, si libera nello spazio e nel tempo; in questa casa assieme ai ricordi precipitano idee ben sedimentate. 

Una strada ci conduce a due possibili case; quella più concreta, marcata da segni profondi di esperienze vissute e quella più eterea, sulla linea dell'orizzonte, che si fonde con l'infinito.

Il cielo, al tempo stesso osservato e che osserva è una presenza immanente con la sua forza di luce e di colore.

E’ un percorso che conduce anche tutti noi verso una direzione “celeste”. In questo quadro troviamo radici saldamente ancorate alla terra, profonde e rassicuranti, che danno forza e sostegno a dimensioni aperte e sospese come il cielo sopra di noi.

Interrogativi e certezze. Tutto avvolto nell'azzurro di un’energia metafisica che comunque continua ad indicarci la strada.

 

Maria Antonietta Borraccio 2016

 

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